Usi e abusi di un mezzo formativo/1
Si sarà forse intesa la generale idiosincrasia di chi cura questo blog nei confronti dell’istituzione-stage e, in particolare, del suo specioso innesto nel tessuto socio-economico italiano. Come dire, a noi italioti piace farlo diverso, sempre e comunque… Le lamentele degli stagisti vertono su punti sostanzialmente comuni, dalla totale mancanza di formazione all’assegnazione di compiti degradanti, passando per rimborsi talvolta inesistenti. Di fronte a situazioni limite sempre più diffuse, il desiderio di vederci chiaro passa necessariamente attraverso un’analisi dei testi normativi, quelli, per intenderci, che dovrebbero guidare con mano salda un’applicazione pratica. Come spesso accade, però, la legge risulta lacunosa e, quel che è peggio, passibile di numerose interpretazioni, utilizzate manco a dirlo dalle aziende per imboccare facili quanto economiche scappatoie.
Nato come anticamera del lavoro, da attivare soprattutto a studi universitari non ancora terminati, il tirocinio pratico, o stage (pronunciato alla francese, mi raccomando!), doveva essere nelle intenzioni dei promulgatori una sorta di cuscinetto formativo tra studi e lavoro e non una sostituzione del classico, e pagato, periodo di apprendistato. In base al decreto n.142 del 25 marzo 1998, emanato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, “al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro nell'ambito dei processi formativi e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, sono promossi tirocini formativi e di orientamento a favore di soggetti che abbiano già assolto l'obbligo scolastico ai sensi della legge 31 dicembre 1962, n.
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1 Commenti:
Attendo con ansia la prosecuzione dell'articolo. Ottimo lavoro di denuncia.
Gianluca
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