sabato 14 aprile 2007

I giovani non hanno voglia di lavorare!

A volte penso che l'udito sia un senso traditore e ribelle. La vista, al suo confronto, è un cagnolino adorante: non disubbidisce, si lascia indirizzare senza opporsi. L'udito no. Lui coglie ogni suoni, ogni stimolo, anche il più molesto o il più fastidioso. Che lo si voglia o meno. Per liberarsene non basta volgere il viso. E così, quando si viaggia sui mezzi pubblici, a contatto con dei perfetti estranei di cui si perde il ricordo appena si arriva a destinazione, capita di ascoltare davvero di tutto. Anche discorsi irritanti. Ieri, durante un viaggio in treno è successo: quattro signore, che non avevano neppure la scusante dell'età avanzata, si lamentavano dei giovani. “Non hanno voglia di lavorare, passano le giornate davanti alla televisione, e poi non si capisce perché il mondo va a rotoli”. In questi casi Dante docet: “non ti curar di loro ma guarda e passa”. Certo, ma le allegre comari mi hanno fatto riflettere su una credenza diffusa, che non mi sento neppure di condannare: che il lavoro c'è e che i disoccupati sono tali per loro colpa. Ho passato mesi e mesi a spedire cv ad agenzie e aziende, convinta che una laurea presa “in corso” e col massimo dei voti, unita a 3 anni di esperienza lavorativa contasse qualcosa. Balle! Meglio così: se avessi saputo cosa mi aspettava avrei trascorso molti altri anni nella bambagia universitaria. “Non è possibile che tu non trovi lavoro” mi ripeteva mia madre “non lo stai cercando davvero!”. E mi ricordava che bisogna accontentarsi, che la gavetta è dura per tutti, che mi sono trasferita perché dalle mie parti non c'era lavoro e che sono scema a pagare un affitto in una città carissima per fare la disoccupata. Giustissimo. Arriva finalmente uno stage. Uno stage, non un lavoro. Lo preciso perché le due cose sono, nella mia concezione reazionaria che mal si adatta all'attuale normativa, ben distinte: si lavora per guadagnare, altrimenti è volontariato. Arriviamo alla descrizione del tanto agognato stage: 8 ore al giorno di “stagismo” degradante e non pagato. Prospettive nessuna, dal momento che l'agenzia non assumeva; compenso nessuno, ma dovevo prendermi il pranzo al bar e pagarmi i mezzi. Morale della favola: anche mia madre ha rivisitato tutte le sue credenze e mi ha detto di lasciar perdere. Quando la realtà supera l'immaginazione. E le quattro allegre comari viaggiatrici? Beh, magari avranno conosciuto qualche giovane che passa la giornata davanti alla televisione (ma c'è ancora chi la guarda?); ma forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare loro che, visto come vanno le cose, è più remunerativo stare a casa in pantofole che cedere a uno stage gratuito e senza speranze...

4 Commenti:

Alle 14 aprile 2007 alle ore 18:55 , Blogger delo ha detto...

Giovani.
niente di peggio che sentirsi definire così.. quando ti senti addosso novantanni. Giovani: dovremmo avere il mondo fra le mani, il futuro la progettualità tutto fra le nostre dita. e invece siamo figure anonime che si trascinano in silenzio in una vita precaria. Non si tratta solo di lavoro. Ci stiamo spegnendo, schiacciati dai nonsense quotidiani. Non tutti . Ovvio . c'è chi vive e sorride tra suonerie unghie colorate e me ne fotto. E c'è chi si sente un burattino scomodo, manovrato da un sistema che andrebbe resettato. Anch'io vorrei un altra vita. Vorrei un lavoro ben pagato, vorrei legalità, vorrei rispetto. Vorrei non essere sempre così. Ho voglia di ridere anch'io. Precario significa solo una cosa: impossibilità di progettare. Non arrivo oltre la prossima settimana. Facciamoci sentire. Non ne abbiamo tante di scelte. Facciamoci sentire. Cazzo siamo davvero tanti.

 
Alle 17 aprile 2007 alle ore 14:32 , Anonymous Anonimo ha detto...

"Il problema fondamentale dell'udito è che le orecchie non hanno palpebre". L'ha detto Amélie Nothomb, scrittrice belga. Sarebbe splendido potersi rifiutare di ascoltare simili discorsi.

Continuate così!

Gianluca

 
Alle 18 aprile 2007 alle ore 16:09 , Blogger maiacopy ha detto...

Sono una copywriter, disoccupata da due mesi. Stamattina mio padre, ammettendo la propria preoccupazione per "la mia situazione", mi consigliava di cercare anche in altri settori, accusandomi velatamente di fare un po' la preziosa. Gli ho detto che sotto casa al negozio cinese cercano una commessa italiana. Che dici, avrò ampliato abbastanza le mie vedute?

 
Alle 18 aprile 2007 alle ore 16:25 , Blogger Alcor ha detto...

Maia, non posso che sottoscrivere il tuo commento. Capita spesso che genitori/parenti, ecc... non si rendano conto delle esigenze di giovani a caccia di un lavoro non dico qualificante, ma almeno non umiliante. Per carità, tutti i lavori hanno una loro dignità, ma è un crimine sperare di lavorare nel settore per il quale si è studiato? Sono laureato col massimo dei voti, ma per due mesi ho spostato scatoloni in libreria. Il magazziniere è un lavoro come un altro, ma il giorno della laurea speravo in qualcosa di meglio... Così passo per lavativo se mi lamento...

 

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